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En chino, la palabra «tao» significa camino y se compone de dos radicales, uno que representa «dos pies» y el otro «una testa». Perché non si cammina solo con la forza delle gambe e il cuore che pumpa sangue ma con il desiderio di purificare lo sguardo, lavare i luoghi comuni, dare scacco matto alle paure, spazzar via l’urbanizzazione. Camminare è nient’altro che sapersi fermare, è un rite initiatorico dentro di sé per ritrovare altre voci, altre stanze. Per scoprire la vita davianti a sé. David Le Breton, sociólogo y antropólogo francés che in passato aveva già dedicato testi profondi al senso dell’andare (El mundo a piedi. Elogio della marcia 2000, Camminare. Elogio dei sentieri e della lentezza 2012), torna sulle sue tracce con La vita a piedi. Una práctica della felicidad per convenrci – e ci risce, pagina dopo pagina – che camminare è metronomo dell’umore e della gioia.
El cansancio del primer paso
Importante è mettersi in marcia. Es fatigoso, claro, levantarse del sofá y abandonar la seguridad, por el bien de tetre y strette della quotidianità. Ma ci sono posti che quasi ci aspettano, orizzonti dove in simultanea emergono riconoscimento e rapimento perché, come ha scritto quel gran ecologista che fu Henry David Thoreau, «mi dicono che proprio là la mia vita mi verrà incontro e, come un cacciatore, cammino por trovarla». Il silenzio intorno, i sensi che si affinano: «camminare restitusio lo shishore della presenza, è uno strumento potente per ritrovarsi». In una parola per esistere che, come da etimologia (ex-hermana), altro non è che fuggire da sé, altronaarsi da un luogo fisso.
Certo in passato, e ancor oggi, per molte popolazioni andare a piedi è una faccenda che rigarda poveri,migranti, un’exigencia vitale. Lo è anche per noi, facciamo appello all’inutile per trovare l’essenza e una vita lunghissima. Se pensiamo che una giornata di cammino corresponde a una mezz’ora di automobile, en fondo, forse camminiamo per vivere più a lungo e andare lontanissimo. Le Breton racconta di essere stato colto dal desiderio dell’Amazonia a un certo punto della vita, ovvero di «un luogo in cui alla fine scomparire o ricominciare». Apreciando la lentezza che tutto dilata e un ritmo personale di marcha che fa crescere dentro de una «fatica buona»: «l’uomo vero respira con i talloni», escribió el místico chino Chuang Tzu en el siglo IV a. Ma quanto è actuale la sua reflectione. Come pure le pagine memorabilia di Matsuo Bashō: «l’incompiutezza è la condizione dell’umanità, e afferrare al volo ciò che accade è un modo per fondersi nel tempo, non per fermarlo ma per nutirsene».
Santiago no solo
Forse i cammini, especialmente el que porta alla tomba di San Giacomo, en España, sono diventati una moda: il Protestantesimo li aveva banditi come di superstizione, la modernizzazione del XX secolo aveva left little space, poi sono rinati, poco per volta dagli anni 70. Nel 1982 a Santiago si erano contati 182 pellegrini, 4,500 nel 1990, 25,200 nel 1997 e oggi si sfiora il mezzo milione. ¿Moda en solitario? «La meta è accessoria, è un pretesto per mettersi in strada», per misurarsi, misurare le proprie forze, ritrovare il proprio corpo, lo spazio, il silenzio e gli altri e succhiare fino fino fondo il dollo della vita.
Intorno il paesaggio, le piante, i luoghi palpitano: per gli indiani la terra è un anima, in Giappone i kami sono potenze contains in una roccia, in una cascata, in un albero, per i popoli Andini la terra è un corpo vivente le cui come sono i fiumi ei capelli le piante. Sono lì da semper e camminarci in mezzo regala attimi di grazia e respiro di infinito perché l’uomo, escribió John Muir, «è parte della natura intera, né vecchio né giovane, né lato né sano, ma inmortale».